Intelligenza una parola insidiosa, ti si disfa nelle mani mentre cerchi di afferrarla.
Si insinua nei contesti invadendoli e ricoprendoli come un liquido malmostoso.
Per riflettere su questa inafferrabile qualità del vivente che chiamiamo intelligenza provo a metterla in relazione, a farla emergere per negazione, cercando quello che non è, quello che la delimita e a cui è connessa in un campo di significati.
Dalle mie letture provo a far parlare ricercatori e ricercatrici che hanno lavorato e pensato in questa direzione.
L’intelligenza non è Sophia.
L’intelligenza non è Sophia. Sophia è più dell’intelligenza del capire le cose: è la capacità di pensare. Una dimensione rispetto a cui l’intelligenza è al servizio.
“Gli antichi greci”, scrive Vito Mancuso, “la chiamavano Sophía, i latini Sapientia, gli ebrei Hokmà, altre civiltà in altri modi. Per attingerla e coltivarla dentro di sé non servono macchine ma silenzio, voglia di studiare, amore del vero. Servono le quattro virtù cardinali elencate per primo da Platone: saggezza, giustizia, forza, temperanza. Chi oggi le insegna, chi le conosce?”[1]
Ma, anche, noi le conosciamo? Come e in quale forma ci possono aiutare queste virtù ad affrontare un futuro che si presenta ontologicamente indeterminabile?
Quale Sophia per inventare nuove regole, essere in relazione con un mondo complesso?
Lo stato di New York, dopo aver proibito l’utilizzo scolastico di Chat-GPT ci ha ripensato e renderà utilizzabile a scuola Chat-GPT perché, asseriscono i responsabili, non si possono privare i ragazzi degli strumenti che poi da grandi nella vita reale dovranno usare quotidianamente. “Certamente ci sono situazioni scolastiche per le quali Chat-GPT può essere utile, ma ve ne sono altre per le quali il suo utilizzo sarebbe nocivo, forse letale, perché priverebbe dell’essenza stessa della ricerca intellettuale. Qual è questa essenza? “
Una domanda legittima a cui la scienza non aiuta a rispondere.
Russell immaginava gli scienziati come visitatori di un mondo di cui si conoscono le regole sintattiche, la grammatica, ma non il significato delle parole. Una metafora che dice tanto sui limiti della scienza e della tecnologia sua compagna. La tecnologia ci ha portato su questa soglia della conoscenza: anche l’Intelligenza Artificiale ha imparato la sintassi dei nostri simboli ma ne ignora il significato.
ChatGPT giustappone parole in successione su base probabilistica a partire da un gigantesco modello statistico distillato da tutto ciò che è stato scritto fino al 2021.
Non sa cosa sia una frase e tanto meno cosa significhi. Le sue immagini non sono che il risultato dello srotolamento di una lunga sequenza di numeri.
Praticare Sophia vuol dire farsi invadere dalla realtà, essere capaci di uscire da un gioco contestuale per scoprire nuovi e più astratti contesti, inventare nuove regole e distruggerne altre, essere dentro un mondo complesso, sconosciuto (non sempre riducibile al simbolico) a cui cercare di dare un senso.
Scrive Hanna Arendt “Ponendo delle domande, a cui non si può rispondere, sul significato, gli uomini si costituiscono come esseri interroganti… Ora è più probabile che se gli uomini dovessero perdere l’appetito di significato che chiamiamo pensare, se cessassero di fare domande senza risposta, perderebbero insieme non solo l’attitudine a produrre quegli enti di pensiero che chiamiamo opere d’arte, ma anche la capacità di porre tutte le interrogazioni suscettibili di risposta su cui si fonda ogni civiltà.”[2]
L’intelligenza può essere stupida. La stupidità riguarda non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Di certo, non basta avere informazioni per essere intelligenti, e non basta essere intelligenti per non essere stupidi.
La stupidità infatti non è assenza di conoscenze ma assenza di saggezza, di Sophia, ovvero di quella qualità da cui dipende l’umanità.
L’intelligenza richiede una mente?
Per Gregory Bateson la mente ha una natura sistemica, un sistema complesso ciberneticamente integrato “Si vuole descrivere, insomma un qualcosa che può ricevere informazioni e che, grazie all’autoregolazione o all’autocorrezione consentita da catene causali circolari, mantiene vere certe proposizioni che lo riguardano. Questi due tratti forniscono i rudimenti dell’identità: a differenza del sasso la mente che stiamo descrivendo è un esso. Non c’è motivo per supporre che sia cosciente o capace di autoreplicarsi, come alcune delle menti che annoveriamo tra i nostri amici e parenti. Data una mente è probabile che essa sia un componente o un sottosistema di una mente più grande e più complessa, così come una singola cellula può essere un componente di un organismo o una persona può esserlo di una comunità.(1979)”[3]
Per Gregory Bateson mente è anche quella vasta rete di processi chiamata evoluzione biologica. L’evoluzione biologica è una forma di pensiero.
Antonio Damasio, dà alla mente un diverso significato. C’è tra le riflessioni di Bateson e quello di Damasio uno scivolamento di senso tra intelligenza e mente, ma si sa intelligenza e mente sono parole insidiose.
Per Damasio possiamo parlare di intelligenza senza mente “La varietà di intelligenza senza mente precede di qualche miliardo di anni quella basata sulla mente. L’intelligenza senza mente è celata nelle profondità della biologia, e l’aggettivo recondito è ancora più calzante per descrivere il processo. Bene occultata dietro i meccanismi molecolari che ottengono risultati brillanti per gli organismi viventi, l’intelligenza senza mente può coadiuvare, nella realizzazione dei loro obiettivi, anche entità non viventi come i virus. L’intelligenza senza mente è ampiamente diffusa e si manifesta nei riflessi, nelle abitudini, nei comportamenti emotivi, nella competizione e nella cooperazione tra organismi. Fate mente locale sulle creature senza mente: hanno un ampio repertorio. E, per piacere, siate consapevoli che anche noi-nobili esseri umani dotati di mente-ci avvantaggiamo a tutte le ore del giorno e della notte dei meccanismi dell’intelligenza senza mente.”[4]
Nelle foreste le radici degli alberi formano vaste reti contribuendo alla omeostasi collettiva. “Tutte queste meraviglie sono messe a segno in assenza di sistemi nervosi ma con l’aiuto di una intelligenza priva di mente fondata su una ricca sensibilità. Che bisogno c’è di una mente quando si può fare tanto anche senza di essa?”[5]
Ma le foreste pensano?
Edoardo Kohn pensa che “I pensieri generati da una foresta giungono in forma di immagini… per connettersi con questi pensieri silvestri e apprezzare come si riflettono nel nostro modo di pensare, anche noi dobbiamo pensare attraverso le immagini… Ecco perché, come sottolineano gli amazzonici (come Manari), è così importante entrare nel mondo dei sogni, questo spazio onirico di associazione di immagini.
Ci si connette con le foreste attraverso i sogni. I sogni sono persone e ci vengono a raccontare quello che secondo loro sembra non andar bene nel nostro modo di agire. Per questo è molto importante connetterci con loro nel sogno.”[6]
La coevoluzione è una storia.
Bambini piccolissimi imparano a riconoscere le immagini molto prima di parlare, prima di aver compiuto un anno. Questo ci fa pensare.
Per Gregory Bateson[7] la somiglianza è più antica (sia nella filogenesi che nell’ontogenesi) della differenza, gli organismi devono essere messi in relazione tra loro come punti o posizioni su un albero ramificato.
Pensiero e la vita nascono in contesti dinamici, in situazioni relazionali in un mondo ricco di significati (Umwelt [8]). Un embrione monocellulare, per quanto semplice e indifferenziato, è un tutto proprio come l’organismo che si svilupperà. La vita nasce come un tutto.
Solo nel regno delle macchine la parte differenziata viene prima del tutto assemblato.
In biologia non si costruisce il complesso a partire dal semplice, poiché non vi è né semplice né elemento isolato, bensì costante interazione e accoppiamento strutturale, perturbazione e retroazione dei sistemi.
Per ogni essere esistere significa essere situato, e qui sta la particolare ricorsività della vita, sarebbe errato andare una volta di più in cerca di una situazione delle situazioni “Al contrario la totalità è ciò che esiste sotto forma di singolarità per e attraverso ciascuna situazione. Così l’amore non va concepito come il risultato della somma dell’insieme sparso degli atti d’amore, bensì come ciò che esiste sotto forma di totalità in ciascuna situazione amorosa” [9].
L’intelligenza richiede coscienza?
Ma cos’è la coscienza?
La coscienza, per Gregory Bateson “Aspetto riflessivo del processo mentale che si presenta in alcune menti (non in tutte) per cui il soggetto conoscente è consapevole di una frazione della propria conoscenza o il soggetto pensante di una frazione del proprio pensiero” [10] (1967).
La natura cibernetica dell’io e del mondo tende a non essere percepita dalla coscienza. Ciò che la coscienza non può mai apprezzare senza aiuto (l’aiuto dell’arte, dei sogni e simili) è quindi la natura sistemica della mente. “La coscienza è di necessità selettiva e parziale, il contenuto della coscienza è, tutt’al più, una piccola parte della verità sull’io; ma se questa parte è scelta in una maniera sistematica qualunque, è certo che le verità parziali della coscienza saranno, nel suo insieme una distorsione della verità di qualunque unità più vasta.”[11]
La pura razionalità finalizzata, senza l’aiuto di fenomeni come l’arte, la religione, il sogno e simili, è di necessità patogena e distruttrice di vita; la sua virulenza scaturisce specificamente dalla circostanza che la vita dipende da circuiti di contingenze interconnessi, mentre la coscienza può vedere solo quei brevi archi di tali circuiti sui quali il finalismo umano può intervenire.
Non tenendo conto della circolarità cibernetica dell’io e del mondo preferiamo cambiare l’ambiente piuttosto che noi stessi.
Vi presento il signor Rossi.
“Negli ultimi cent’anni si è manifestato un curioso fenomeno sociologico che forse minaccia di isolare la finalità cosciente da molti processi correttivi che potrebbero scaturire da parti meno coscienti della mente. Il quadro sociale è oggi caratterizzato dall’esistenza di un gran numero di entità automassimizzanti che, dal punto di vista giuridico, hanno più o meno lo stato di ‘persone’ (trust, società, partiti politici, sindacati, compagnie commerciali e finanziarie, nazioni e simili), in realtà queste entità non sono affatto persone e non sono neppure aggregati di persone intere sono aggregati di parti di persone.
Quando il signor Rossi entra nella sala del consiglio della sua società, egli deve limitare strettamente il suo pensiero ai fini specifici della società o a quegli di quella parte della società che egli ‘rappresenta’. Per fortuna non gli è del tutto possibile far ciò e alcune decisioni della società sono influenzate da considerazioni che scaturiscono da parti più ampie e più sagge della mente. Ma, idealmente, il signor Rossi dovrebbe agire come una coscienza pura, senza correttivi. Una creatura disumanizzata.”[12]
Quando la natura complessa e ricorsiva del mondo viene ignorata, vedendo solo archi di circuito finalizzati a sé stessi, prevale il senso dell’aumento, la quantità contro la struttura, il quantitativo contro l’analogico o meglio la quantità contro la relazione “L’aumento è ormai imposto come parola d’ordine di ogni attività- aumentare la vita, il cervello, le prestazioni, il numero di amici, di relazioni…il tutto in una logica puramente quantitativa”[13]
Il rapporto col mondo, per esempio, diviene una sfida, lo vogliamo sottomettere in una relazione schismogenica simmetrica da eccessiva competizione.
Pensiamo a come molti hanno affrontato la pandemia.
Spinti da un senso di controllo della natura hanno definito la pandemia una guerra e non hanno usato questa parola come una metafora, ma alla lettera, auspicando un ritorno alla normalità.
Importante era sconfiggere il virus ignorando la cura dei contesti e la necessità di immaginare un altro mondo possibile.
Ma “Nulla potrebbe essere peggio di un ritorno alla normalità. Storicamente, le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è stata diversa. È un portale, un cancello tra un mondo e un altro. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, la nostra avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo. “[14]
La natura ci manda segnali di difficoltà, di aiuto, ma noi non li vediamo.
E qui c’è una pietra d’inciampo. Ci dobbiamo fermare a pensare i nostri limiti. Riusciamo a pensare l’incertezza ma non l’indeterminatezza.
L’incertezza ha una natura epistemologica, riguarda la conoscenza del sistema che stiamo osservando, mentre l’indeterminatezza si connota in senso ontologico, fa riferimento alle cose così come stanno. Dobbiamo anticipare un futuro ontologicamente indeterminato. Abbiamo a che fare con sistemi complessi, con soglie critiche. Chi poteva pensare che Putin avrebbe dichiarato guerra all’Ucraina? Eppure il 24 febbraio 2022 questo è divenuto semplicemente reale.
“L’aspetto terribile di ogni catastrofe è che veramente non crediamo nella sua possibilità, anche se abbiamo tutti gli elementi per essere certi che accadrà, poi quando accade sembra essere stata sempre parte del normale ordine delle cose. Diventa banale proprio nel momento in cui si realizza concretamente: un momento prima sembrava impossibile e un momento dopo, senza troppo sforzo è diventata parte integrante dell’arredo ontologico del mondo. …Il futuro è scritto ma parzialmente indeterminato. Come il più metafisico di tutti i poeti, Jorge Louis Borge, ha scritto: “Il futuro è inevitabile ma potrebbe non accadere”.[15]
Dobbiamo imparare a prenderci cura del futuro, a vederlo reale perché non possa accadere, a pensare che proprio ciò che ci minaccia potrebbe essere la nostra salvezza.
Cos’è l’ intelligenza senza emozione?
L’emozioni ci informano su come guardiamo, su come siamo dinamicamente impegnati a costruire contesti di cui siamo parte. Anche una tautologia ci può far sognare. Se dico ‘una rosa’ nel catalogo del fiorista è un fiore profumato, con petali ecc. ma se dico ‘una rosa è una rosa è una rosa’ la tautologia dà tanto di più, entra nel gioco dell’allusivo. Dalla materia alla struttura, anziché dalle parti al tutto e la struttura è una struttura processuale. Nel mondo della cibernetica parti e tutto sono esaminati entrambi nei termini dei loro modelli di organizzazione. Dal paradigma delle cose al paradigma delle strutture.
(Non siamo mucchi di mattoni capaci di camminare)
Da Gregory Bateson, ‘Intelletto e emozione’ (1970):
“E’ il tentativo di separare l’intelletto dall’ emozione che è mostruoso, e secondo me è altrettanto mostruoso (e pericoloso) tentare di separare la mente esterna da quella interna, o la mente dal corpo. Blake osservò che una lacrima è una cosa intellettuale e Pascal affermava che “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Non dobbiamo essere sviati dal fatto che i ragionamenti del cuore (o dell’ippotalamo) sono accompagnati da sensazioni di gioia o di dolore.
Questi ragionamenti riguardano questioni che sono vitali per i mammiferi, cioè questioni di relazione, e intendo dire amore odio, rispetto, dipendenza, ammirazione, adempimento, autorità, e così via. Esse sono fondamentali nella vita di qualunque mammifero, e non vedo perché questi calcoli non si dovrebbero chiamare pensiero, benché certo le unità di calcolo per le relazioni siano diverse dalle unità che usiamo per i calcoli sulle cose isolabili.“[16]
Allora…Che cos’è l’intelligenza?
Scrive Hofstadter “Tra le molte caratterizzazioni dell’intelligenza in cui noi stessi ci siamo imbattuti, se è vero che ognuna innegabilmente richiama qualcosa della natura del fenomeno, tuttavia nessuna arriva davvero al succo, centra il bersaglio, va al cuore della questione, tantomeno colpisce nel segno. Non riuscendo mai a puntare davvero il proprio mirino sull’essenziale si limitano a ronzare attorno al punto cruciale, a gingillarsi con il fulcro della questione, e mancano la sua chiave più profonda, rimanendo curiosamente incapaci di mettere il dito sul vero nocciolo del fenomeno che chiamiamo intelligenza.”[17]
“(…)L’intelligenza, nella nostra mente, è l’arte di trovare l’essenza, di individuare il nocciolo, di fare centro, di colpire nel segno. Di individuare con esattezza il fulcro, il tutto con affidabilità e rapidità. E’ l’arte, nel trovarci di fronte a una situazione nuova, di mirare svelti e sicuri su un illuminante precedente (o famiglia di precedenti) immagazzinato nei recessi della nostra memoria. Questo è, né più né meno, ciò che significa isolare il punto chiave di una nuova situazione. E questo non è nient’altro che la capacità di trovare buone analogie, ovvero lasciar emergere nella mente analogie che siano profonde e utili.”[18]
Intelligenza è una parola insidiosa, nasconde al suo interno una compromissione con l’etica e in generale con la cultura di provenienza. Ha a che fare con la soluzione di problemi e con la capacità di srotolare tautologie? Quando si parla di intelligenza spesso si aggiunge ‘qualsiasi cosa possa essere’.
Per Alessio Figalli, matematico, vera intelligenza è intuizione e indipendenza.[19]
Per Haward Gardner “una intelligenza è la capacità di risolvere problemi o di creare prodotti che sono apprezzati all’interno di uno o più contesti culturali.”[20]
Una interessante riflessione di Gardner “C’è una tentazione universale umana di attribuire credibilità a parole alle quali ci siamo affezionati, forse perché ci hanno aiutati a capire meglio una situazione…intelligenza è una di queste parole; noi la usiamo così spesso che siamo venuti a credere alla sua esistenza come entità genuina tangibile, misurabile, anziché come a un modo comodo per indicare dei fenomeni che potrebbero esistere (ma anche non esistere).“
Siamo in una palude: Intelligenza linguistica, interpersonale, spaziale ecc… “Queste intelligenze sono finzioni-nel migliore dei casi finzioni utili- per parlare di processi e di abilità che (come il resto della vita) formano un continuo.”[21]
Sono costrutti scientifici potenzialmente utili.
Per Vito Mancuso “L’intelligenza è uno strumento a servizio di qualcosa di più prezioso”[22]. Di cosa, precisamente? A questa domanda, secondo Mancuso, oggi non siamo in grado di rispondere, il che significa che non sappiamo in cosa consiste la nostra essenza e quindi non sappiamo proteggerci a dovere.
A che serve l’intelligenza se non è in grado di generare sapienza? Questo è in fatti il fine della vita: essere sapienti, avere sapore. Rispetto a ciò l’intelligenza è solo un mezzo.
Uno sguardo nel passato seguendo la ricerca di Eva Cantarella. I greci avevano due concetti per parlare di intelligenza Metis (una dea, la prima moglie di Zeus), l’intelligenza astuta e Logos.
“Metis è diversa dal grande logos, la ragione alta e luminosa, appannaggio e prerogativa degli uomini. E’ un’intelligenza bassa, che a differenza del logos non è astratta, non classifica non costruisce categorie. E’ concreta e si rivolge al caso singolo, al problema specifico. E’ frutto dell’esperienza e della riflessione di conoscenze acquisite con la pratica. E non raggiunge mai gli obiettivi in modo lineare: sostanzialmente essa consiste nella capacità di usare trucchi, stratagemmi, di inventare insidie agendo per vie traverse, oblique, raggiungendo gli obiettivi per strade tortuose.
Nulla di sorprendente dunque che la posseggano pure le donne.”[23]
Una ultima riflessione di Ignazio Licata:
“(…) E’ necessario abbandonare alcuni fantasmi filosofici vetusti e cominciare a pensare che siamo processi che osservano processi e che man mano che studiamo livelli sempre più alti di complessità i “vincoli” e le “condizioni al contorno” diventano più importanti delle “leggi”. Andiamo verso una scienza sempre più “eraclitea” e costruttivista, con più attenzione per la diversità e la gioia del fare che per le verità definitive ed ultime, che hanno sempre prodotto guai.”
“(…)Nel Moby Dick di Melville troviamo una bellissima metafora della crisi dell’occidente. Il capitano Achab sacrifica il senso del viaggio ossessionato dalla caccia alla balena bianca, mentre il dolce Ismaele fraternizza con i compagni e osserva meravigliato le creature del mare. Achab, figlio di Faust, va verso la distruzione, Ismaele è l’unico superstite del Pequod. C’è già tutto quello di cui abbiamo bisogno: meno Achab e più Ismaele.” [24]
NOTE
[1] Vito Mancuso, La Stampa 22 maggio 2023, La Repubblica 9 giugno 2023
[2] Hannah Arendt, Vita della mente, Il Mulino 1987, pag 146
[3] Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi p. 38
[4] Antonio Damasio, Sentire e conoscere, Adelphi p.56, 2021
[5] Antonio Damasio, Sentire e conoscere p.68, 2021
[6] Edoardo Kohn, Come pensano le foreste, Nottetempo 2013 p. 26
[7] Mente e natura p.224
[8] Uexküll ha teorizzato che organismi diversi hanno umwelten diversi, anche se condividono lo stesso ambiente
[9] Miguel Banasayag, La singolarità del vivente, Jaca Book 2021 p.51
[10] Gregory Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi p. 184
[11] Gregory Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi p. 184-185
[12] Ibidem p.486
[13] Miguel Banasayag, La singolarità del vivente, Jaca Book 2021 p.93
[14] Arundhati Roy n. 1353 di Internazionale. 20 aprile 2020
[15] Ean Pierre Dupuy, Pre-vedere l’apocalisse, Transeuropa edizioni 2010 p.69
[16] Gregory Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi p.505
[17] Douglas Hofstadter, Emmanuel Sander, Superfici ed essenze, codice edizioni 2015 p.135
[18] Inferenza nel libro citato nella nota sopra non è sinonimo di deduzione logica formale, vedi I.A., effettuata dai così detti motori di inferenza. Al contrario fare un’inferenza è l’introduzione di un qualche nuovo elemento mentale in una data situazione che si sta fronteggiando.
[19] Alessio Figalli, matematico medaglia Fields 2018. Vedi intervista su Repubblica 8/07/2023
[20] Howard Gardner, Formae Mentis-Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli 1988p.10
[21] Ibidem p.89
[22] Vito Mancuso, La Stampa 22 maggio 2023
[23] Eva Cantarella, Itaca, Universale Economica Feltrinelli 2022 p.106
[24] CSPL centro studi sulla mente e sulla materia. Dialogo sulla mente e sulla materia. Intervista a Ignazio Licata. Intervista Virginia Salles anno 7, n. 25, 2008