Chi siamo

Dromo è una rivista rivolta a chi ha conosciuto la lezione di Odisseo ma non l’ha imparata, a chi non dà per scontato il significato della parola “umano” e a chi pensa che il bene sia tensione, aspirazione, educazione e possa essere tanto cercato quanto costruito nella comunità dei viventi. È quindi un progetto di lavoro, ricerca e pensiero che, come il viaggio di Odisseo, ha un suo inizio e un suo luogo di partenza ma oggi si è arricchito di mappe, cartografie aggiornate e tecnologie di avanguardia che talvolta bisogna ancora imparare ad usare.

L’origine, lì dove tutto prese avvio, è un ambulatorio di medicina sociale di Roma, agli inizi degli anni 70, e l’uomo che additò la via si chiamava Sandro Gindro. Quell’uomo fondò un’associazione di giovani medici e psicologi che volevano cambiare il mondo e la psicoanalisi e con la psicoanalisi il mondo, e diede vita a una rivista di psicoanalisi, cultura e arte, chiamata Psicoanalisi Contro. Una meravigliosa esperienza durata troppi pochi anni.

Poi venne l’Istituto Psicoanalitico per le ricerche Sociali: più di trent’anni di lavoro nel campo dell’immigrazione, della devianza giovanile, del disagio sociale, della ricerca psicoanalitica che ancora continuano con fervore.

Dromo non è una rivista che ritorna nostalgicamente sui luoghi del viaggio, tutt’altro. È piuttosto una risposta a una mancanza, al desiderio di un nuovo spazio di accoglienza e confronto con chi ha voglia di affrontare il visibile esplorandone anche il lato in ombra. La semplificazione imperante trascina con sé insidiose rassicurazioni soporifere a cui noi rinunciamo perché crediamo che si possa essere compiuti al mondo anche accogliendo quel grado di inquietudine che arriva dall’inconsueto. Non c’è più Gindro e non c’è più Psicoanalisi Contro, ma c’è ancora la voglia di cambiare il mondo, e la psicoanalisi, e il lavoro sociale, e la pedagogia, e chissà cosa altro.

In questi trent’anni abbiamo incontrato molte persone con cui è stato bello lavorare e con cui è bello fermarsi a riflettere, e che hanno condiviso con noi l’idea di dare vita a Dromo.

Per chi conosce il significato di Dromo è evidente il senso di queste metafore legate all’andare o, meglio, all’errare. Per chi non ne conosce il senso sappia che dromo è “ogni punto di riferimento naturale o artificiale che serva a far riconoscere la costa ai naviganti”, ovvero qualcosa che aiuti a non perdersi o meglio a non sentirsi perduti e disorientati.

“ogni punto di riferimento naturale o artificiale che serva a far riconoscere la costa ai naviganti”, ovvero qualcosa che aiuti a non perdersi o meglio a non sentirsi perduti e disorientati.

A distanza di due anni e mezzo dalla pubblicazione del primo numero della rivista, è stata presa la decisione di avviare una nuova versione completamente online di Dromo.

Non più quindi il sito della rivista ma una rivista online.

Creare realtà che cerchino significato nell’esistente è possibile solo a fronte di una partecipazione che osserva, condivide, si fa parte viva di ciò che vive e quindi dopo i primi tre numeri cartacei e una monografia abbiamo capito che era il momento di uno strumento che potesse nella sua forma essere consono alla dinamicità del tempo che viviamo. Uno spazio capace di modificarsi interagire con i lettori e favorirne il coinvolgimento attivo, superando le fissità di posizione di fruitori.

Abbiamo avuto sempre l’idea di una rivista come organismo vivente, interagente e la forma che da oggi si propone, ambisce a concretare l’intenzione. Se la veste grafica necessariamente è cambiata, con rubriche fisse a cura di un redattore e l’apertura a molte collaborazioni, lo stesso rimane lo spirito di confronto tra percorsi professionali e culturali diversi accomunati dalla ricerca di un terzo pensiero, che si auspica possa alimentare le professioni che si prendono cura del nostro vivere nel presente, ma anche l’attenzione di ogni soggetto sensibile ai margini, alle fratture, alla sofferenza, alle contraddizioni, di un mondo che ci appare animato da una dinamicità spesso frenetica e che cambia a velocità talvolta poco sostenibili.

Né l’elogio della lentezza, non solo legata al consumo di cibo, né il grido di dolore di un fortunato film di molti anni fa (“Fermate il mondo, voglio scendere”) paiono avere presa su un modello di sviluppo non a caso chiamato turbocapitalismo: in questo incedere tumultuoso delle nostre vite, non appare strano che domini il senso del precipitare, di trovarsi di fronte al precipizio e di sentire la vertigine che deve aver sentito Simon Mago: così che invece di trattenersi o retrocedere ci si lancia nel vuoto.

Dromo, in fondo, rappresenta un tentativo, certo non il solo, di non cedere alla sensazione del precipizio, non solo per l’angosciosa esperienza che questa rappresenta, ma per la rinuncia alla responsabilità che essa configura. Nel precipitare la forza di gravità è l’unica legge e si cade come corpo morto cade. Dromo, e chi collabora a Dromo, vorrebbero opporre alla sensazione di precipitare quella di poter ancora esercitare un controllo sul proprio agire, di sentirsi responsabili del proprio fare e delle cose che ci circondano.