La Chimera è creatura misteriosa che discende da magnanimi lombi.
Attraversa il mondo greco, quello romano, quello etrusco, non disdegna di mimetizzarsi tra le divinità solari dell’Egitto o tra le mura di Karkemiš, città che sorgeva sulle sponde dell’Eufrate al confine tra Siria e Turchia.
La mutevolezza dei suoi attributi fisici ne permette l’acquisizione e l’adattamento agli archetipi che di volta in volta le culture elaborano nello scorrere dei millenni e dei valori.
Leone, capra, serpente, drago, con o senza ali sono forme diverse che nel convivere in un unico essere giustificano lo scontro perenne tra le diverse nature che in un unico corpo si confrontano, si scontrano, si rincorrono.
Insomma, la Chimera può diventare uno dei tanti modi di parlare di sé uscendo da sé.
Ma a volte, perché questo eterno gioco del rispecchiamento inconscio si rinnovi, bastano chimere più modeste, più nostrane anche se, prive del blasone di nobiltà, non trovano spazio tra i versi di Esiodo e di Omero, ma si contentano di comparire tra le pagine di un periodico per l’infanzia.
Il 7 luglio 1881 usciva la prima puntata di Pinocchio, storia di un burattino.
L’autore, dedito prevalentemente al giornalismo umoristico, era figlio di un cuoco e di una cameriera: Carlo Lorenzin, universalmente noto come Carlo Collodi.
Pinocchio, quindi, non vanta augusti natali, come potrebbe assurgere nell’Olimpo di miti millenari? Con quale ardire può definirsi Chimera?
Oltretutto il nostro Burattino non ha ancora raggiunto i 150 anni, meno di un neonato rispetto ai millenni che la Chimera vanta con aristocratica noncuranza.
INTELLETTUALI A SCUOLA DA PINOCCHIO
Eppure, nell’arco di questo secolo e mezzo, estimatori di ogni genere si sono cimentati nelle più disparate valutazioni e interpretazioni del romanzo di Collodi, manco il tronco da cui trae origine Pinocchio fosse il ramo dell’albero del bene e del male. E non parliamo dei giovani lettori a cui il romanzo si rivolge, ma di esimi intellettuali e artisti e uomini di scienza nella mente dei quali il monello toscano, tra una promessa e una trasgressione, ha sbadatamente inoculato germi utilissimi alla rielaborazione di massimi sistemi, spalancato orizzonti di attesa e ammonimenti.
Tanto per citare i più noti in Italia e i più recenti, per prima riportiamo la considerazione letteraria di Italo Calvino che ha dichiarato Pinocchio l’unico vero Picaro della letteratura italiano. Ma passando dal fantastico al filosofico il discorso si fa più stringente. Ecco che Emilio Garroni, filosofo nonché scrittore, nel 2010 edita per Cortina un saggio di 200 pagine Pinocchio Uno e Bino; Riccardo Scarcia all’Università di Trieste sviluppa il tema del DNA di Pinocchio. Nel 2002 già il Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica aveva dedicato al Burattino un intero convegno presso l’Università di Urbino.
Forse l’indagine più complessa è stata quella di Elémire Zolla. L’antropologo e storico delle religioni dichiara: Il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi incomparabile. E, nel richiamarsi alle Metamorfosi di Apuleio e alla presunta appartenenza alla Massoneria di Collodi, vede nelle avventure del Burattino tutte le fasi di un processo di iniziazione, “Pinocchio continua la lignée esoterica, gnostica, isiaca e neopagana, nel senso più spirituale, che è al centro della nostra letteratura”. Concetti espressi in varie interviste e ribaditi nel celebre saggio di Adelphi Uscite dal mondo.
Controbatte il filosofo Giorgio Agamben che nel 2021 pubblica per Einaudi Pinocchio – Le avventure di un burattino doppiamente commentate e tre volte illustrate in cui considera il nostro eroe di legno una via di fuga tanto dall’umano quanto dall’inumano e per questo non fa che correre e la menzogna è fisiologica alla vaghezza dell’esistenza.
Anche uno scrittore originale e imprevedibile come Giorgio Manganelli, battagliero teorico delle avanguardie, non resiste al fascino di Pinocchio. Reinterpretando il testo capitolo per capitolo quasi lo riscrive e finisce col definire Pinocchio insieme umano, animale, vegetale, ultraterreno, dall’occulto multiforme futuro, ma soprattutto creatura terribile e catastrofica.
Lo psichiatra Vittorino Andreoli, anche lui riscrive Pinocchio affinché finalmente emerga la verità più profonda della storia: l’amore è il metodo educativo per eccellenza!
Non poteva mancare la riflessione di Massimo Recalcati che ampiamente si è occupato dei rapporti familiari. In Cosa resta del padre del 2017 la figura di Geppetto compare quale prototipo di un padre che di fatto non esercita più nessuna autorità. Pertanto, considerando che l’Opera (pubblicata a puntate) arriva a completezza nel 1883 il vecchio falegname diventa quasi una figura profetica così come il suo figliolo ribelle.
Ma l’interesse di Recalcati per la nostra Chimera di Legno già era emerso nel commento che aveva pubblicato a ottobre del 2015 su Repubblica, all’uscita del geniale romanzo di Emanuele Trevi Il popolo di Legno (Einaudi). Qui il protagonista, visionario e velleitario rappresentante di una cultura di perdenti, dichiara: “noi siamo i figli della realtà, e non siamo fratelli di nessuno. Noi siamo figli di noi stessi. I figli del falegname. Come Gesù, come Pinocchio”. E rivendica così la natura primigenia e libera del burattino sul quale l’autorevolezza del Grillo Parlante e della Fatina altro non è che l’espressione della perfida volontà di svuotare le potenti energie anarchiche della creatura di legno per ricondurla nei ranghi dell’omologazione. Purtroppo, il simpatico personaggio che esalta la testardaggine di Pinocchio viene stritolato da una realtà bieca, ma più potente delle sue utopiche visioni.
PINOCCHIO TRA LE QUINTE
Moltissimi gli spettacoli per l’infanzia dedicati a Pinocchio e ancora più numerose le recite scolastiche in cui anche i bravi bambini finalmente danno libero sfogo al desiderio segreto di essere bugiardi almeno una volta… almeno sul palcoscenico.
Tra i tanti Pinocchi teatrali blasonati, certamente due meritano di essere ricordati, quello di Carmelo Bene – più volte riproposto con successo tra il 1961 e il 1998 – e il Pinocchio Nero di Marco Baliani.
“Il rifiuto della crescita (di Pinocchio) è conditio sine qua non all’educazione del proprio femminile” afferma il grande regista pugliese. Apre così una nuova finestra interpretativa su un panorama del tutto nuovo di illuminanti visioni, certamente tutte estranee alle intenzioni di Collodi.
Marco Baliani per realizzare Pinocchio Nero ha diretto una compagnia di ragazzi kenioti con la collaborazione dell’associazione AMREF. Lo spettacolo nasce infatti a Nairobi dove i bambini di strada coinvolti nel progetto sono stati subito conquistati da quello che hanno considerato il tema principale del racconto: la metamorfosi. “In realtà – dice Baliani – Pinocchio è la storia di un morto di fame che riesce a realizzare il suo sogno di normalità e di avere la pancia piena”. Nell’ultima scena il piccolo Pinocchio Nero si toglie il naso lungo che tiene legato alle orecchie con un elastico e dichiara il proprio nome aggiungendo con orgoglio “…e ho un passaporto!”, perché è questa la metamorfosi a cui ambisce il piccolo keniota affamato. A ruota lo seguono tutti gli altri interpreti che si sfrenano in una danza irrefrenabile: finalmente, proprio come Pinocchio, sono diventati esseri umani degni di vivere tra la gente per bene.
A distanza di oltre vent’anni c’è da chiedersi se quelli che allora erano i ragazzi chokora, che in lingua Swahili significa spazzatura, sono ancora felici di avere realizzato quel sogno o hanno amaramente scoperto di essere caduti anche loro nelle fauci della Chimera.
E poi esiste un Compagno Pinocchio del 1936 in URSS (che compare anche in un francobollo edizione speciale), un alter ego del Burattino in Brasile che prende il nome di Robinho. E certamente molti altri hanno varcato i confini sulle ali delle 240 lingue in cui il testo di Collodi è stato tradotto e rappresentato.
Nell’attraversare i continenti il naso di Pinocchio rimane lungo, elemento identificativo che lo distingue dai tanti Giamburrasca, per il resto le trasformazioni e gli adattamenti alle varie culture mai tradiscono il gusto per la sorpresa, l’oscillazione tra lo sberleffo e la carezza.
Il Burattino continua a vivere le sue avventure per le strade del mondo, dilaniato tra buoni propositi e pulsioni ingovernabili.
Non ci resta che tornare a Collodi dove quel monello ci parla di sé nell’eleganza dell’eloquio toscano.
Già il nome di battesimo rivela la sua natura vegetale, è un tronco di pino che diventa oggetto di scambio tra due pezzenti.
È maschio o femmina? Certo, gli indicatori grammaticali si declinano al maschile, ma anche a un’attenta lettura mancano altre prove che identifichino il genere.
Sì, è di legno, ma ha fame come un qualunque essere animale, è capace di fantasie come gli umani, si muove spinto dalle paure e dai moti d’affetto. Eppure, non soffre nel bruciarsi i piedi, ma si dispera quando due orecchie d’asino lo retrocedono alla natura bestiale. Perché lui si sente un bambino, e come tale si comporta nel preferire il teatro dei burattini alla fatica della scuola. È un figlio discolo, ma pronto ad affrontare il mare aperto per salvare suo padre. È anche un orfano non dichiarato di una possibile madre che vive in una dimensione magica. Madre magica che comunque muore di dolore e poi rinasce per amore.
Pinocchio crede all’albero di zecchini, crede ad un mondo fatto di balocchi: si abbandona alla Chimera. Lui stesso è una Chimera che promette, promette e non mantiene, delude e tradisce.
Solo l’intreccio dei linguaggi della Lanterna Magica può seguire questo funambolo dell’agire e dell’essere, e – senza intaccarne la natura polimorfe – restituirgli la coerenza artistica, che è forse l’unica coerenza possibile.
PINOCCHIO NELLA LANTERNA MAGICA
Riportiamo in calce per comodità una tabella dove si elencano i film che sono stati prodotti nell’arco di poco più di cento anni e siamo grati se nuovi suggerimenti vogliono arricchirla con l’aggiunta di titoli che possono esserci sfuggiti.
Ecco che già nel 1911 Giulio Antamoro realizza il primo adattamento cinematografico di 42 minuti, naturalmente si tratta di un film muto in bianco e nero. La lunga corsa iniziale sembra proprio il paradigma fondamentale su cui si sviluppa tutta la pellicola. Pinocchio (interpretato dall’attore adulto Ferdinand Giullaume), appena costruito inizia la sua folle fuga abbandonando la bottega di Geppetto. Una corsa lunghissima che genera scompiglio nella comunità: carretti capovolti, salti, sberleffi, capitomboli collettivi e crolli. Certamente risponde alle esigenze della farsa, ma è anche un’accelerazione che ha il potere di sovvertire i ritmi prevedibili fino ad approdare in una terra dove vivono gli indiani (non meglio identificati). Il Burattino sarà salvato da un gruppo di soldati che lo rispediscono a casa sparandolo con un cannone. Ma la cosa che colpisce sono le divise dei militari più o meno identiche a quelle indossate proprio in quel periodo dalle truppe coloniali in Libia. Un’attualizzazione che fa di Pinocchio un beneficiato dai coloni.
A distanza di qualche decennio Walt Disney, ormai nel 1940 è all’apice del successo, non può perdere l’occasione di dedicare a Pinocchio uno dei suoi celebri cartoons. La storia comincia con il Grillo Parlante che, vagando senza meta, arriva in un paesino della Toscana dove si incontra con Geppetto. Il saggio Grillo rimane presente come narratore nel corso di tutta la storia e la Fata dai Capelli Turchini è la Stella dei Desideri caduta dal cielo per accoglie la preghiera del buon Geppetto: avrà un figliolo con cui fare famiglia. Ma la Fata appaga solo in parte la richiesta del vecchio; infatti, Pinocchio per meritare una vera natura umana, dovrà dimostrare di essere “bravo, coraggioso e disinteressato”. Nel mondo fantasmagorico dei cartoons ecco delinearsi il sogno americano raggiungibile a fronte di grandi doti individuali. Oltretutto la bottega di Geppetto non si presenta certo come una squallida stamberga ma è un concentrato di fantasia, ricchezza e varietà. La miseria è lontana e il disegno morbido e festoso. La riuscita è garantita, basta impegnarsi.
Dopo il successo di Disney fu notevole il coraggio di Giuliano Cenci considerato il Disney italiano. Anche lui, infatti, produsse un lungometraggio di animazione presentato in anteprima a Firenze nel 1966 e successivamente riproposto nelle sale nel 1972. Lavorò a stretto contatto con i nipoti di Collodi, Mario e Antonio, creando insieme a loro l’opera forse più rispettosa dello spirito collodiano. Concluse il film dedicandolo ai ragazzi di tutto il mondo e agli adulti che “abbiano conservato la semplicità del cuore, il senso di giustizia e lo spirito di fraternità”. Si fa così appassionato portavoce di quegli ideali che hanno animato quegli anni e che poi tanto malcostume ha corroso. Così come la grande complessità tecnica, dovuta ad una metodologia pionieristica, ha reso la lavorazione lenta e accidentata. Difficoltà ancora maggiori furono quelle dovute alla distribuzione dove il minimo garantito non era tale da risarcire i grandi investimenti. Insomma, sparì presto dalle grandi sale italiane e non raggiunse mai quelle straniere, così come lo slancio che aveva infiammato tante utopie.
TORNIAMO ALLE VERSIONI CINEMATOGRAFICHE
Alessandro Tomei è l’attore bambino che dà vita alla seconda versione cinematografica di Pinocchio, quella di Gianni Guardone nel 1947. La lunga scena che vede il Gatto e la Volpe all’osteria non può non ricordare tanto cinema neorealista che fa della carenza di cibo il motore delle azioni più svariate: dall’assalto al forno di Roma città aperta alla “mezza porzione abbondante” di C’eravamo tanto amati. Il Pinocchio di Guardone sembra avere la stessa incertezza del piccolo Bruno all’osteria di Ladri di Biciclette. In entrambi il peso delle avversità manda per traverso il boccone che sembra rubato. L’incerto destino dell’Italia del dopoguerra agisce a ritroso e riesce ad offuscare anche l’allegria del Burattino.
Dobbiamo arrivare al 1972 perché Luigi Comencini realizzi quel grande affresco in sei puntate televisive che alletta la vista e rasserena lo spirito. Secondo Paolo Meneghetti nella riduzione prevale il realismo sociale a scapito della componente fantastica. Sarà pure vero, ma quelli erano gli anni della denuncia sociale, dell’approccio sociologico e la tenerezza che suscita il piccolo Andrea Balestri non fa che rilanciare l’attenzione verso i diritti dell’infanzia di cui tennero conto anche le riforme scolastiche, così viene assolto anche quel monello del piccolo toscano. Il cast di attori assolutamente straordinario attribuisce ad ogni personaggio un peso narrativo e simbolico che, senza nulla togliere al piccolo protagonista, rende più corposo il contesto in cui si dipanano le avventure. Peraltro, la durata complessiva di 320 minuti dà spazio al gusto dei dettagli, al piacere della lentezza nella ricostruzione degli ambienti. Quasi a voler provare che l’arte cinematografica e televisiva, nella sua potenza mimetica, può rappresentare il mondo di Collodi con rinnovato vigore.
SEGUONO FILM AMERICANI, GIAPPONESI, CANADESI
Nel 2004 una produzione franco-canadese distribuisce Pinocchio 3000, diretto da Daniel Robichaud. E qui Pinocchio deve inoltrarsi con le sue avventure addirittura nel millennio successivo dove non è di legno, ma vive nell’ammasso di ferraglia che ne fa un piccolo robot nella città di Samboville. Come il suo progenitore del XIX secolo desidera diventare grande, ma per crescere deve prima trasformarsi in un bambino. La fata Cyberina gli spiega che per diventare un essere umano deve acquistare la capacità di distinguere il bene dal male. Il naso si allunga ogni volta che tradisce questa missione. Purtroppo, il sindaco cattivo vuole trasformare tutti i bambini in robot, ma Pinocchio, Geppetto e dei loro alleati sfruttano i poteri della Balena Magica e riescono ad invertire il terribile processo di robotizzazione. Grazie alle azioni congiunte dei personaggi positivi il verde ritorna sulla terra che viene restituita ai suoi ritmi naturali.
È fin troppo evidente l’intento di creare una favola futuristica fondata sulle paure che angustiano i nostri tempi. Quello che ci interessa è considerare che il mondo di Collodi presta ancora il fianco a sviluppi che possono trapiantarsi con efficacia in un mondo tecnologizzato e quasi bloccato dal terrore di perdere i confini dell’umano.
Le favole in quanto tali finiscono bene, speriamo che la realtà goda dello stesso destino.
In Italia dopo Comencini, ci sono altre tre grandi rielaborazioni cinematografiche, quelle di Roberto Benigni, Enzo D’Alò, Matteo Garrone, tutte collocate nell’ultimo ventennio.
Lo stesso Fellini aveva visto in Benigni un personaggio collodiano da quando il regista lo aveva diretto ne La voce della luna. Certamente l’attore toscano dispone di una fisicità che molto lo assimila al Burattino, ma soprattutto ha la capacità di alleggerire l’intreccio a vantaggio di una morale soave e trasparente che si nutre di teatralità, piacere della vita, commozione che sfuma sempre nel gioco. È un piacere che non chiede niente in cambio, sfiora la vita e di tanto si appaga. Era il 2002.
Esattamente il contrario di quanto realizza Matteo Garrone 17 anni dopo. La natura duramente lignea di Pinocchio resta sul volto del piccolo interprete Federico Lelapi a segnare la fatica di una metamorfosi gravata da troppi pesi. Ancora presente Benigni, ma stavolta nel ruolo di Geppetto mostra tutta la vecchiaia del personaggio e dell’uomo. Il burattino che vuole diventare umano si carica della drammaticità della nostra attuale storia dove gli umani vivono la triste sensazione di essere diventati irreversibilmente burattini. I personaggi vivono nel film in una fissità archetipale che li condanna a interpretare un ruolo, loro malgrado.
Il film d’animazione di D’Alò, che precede di cinque anni quello di Garrone, mantiene tutta la gioia del film di animazione. Inevitabile considerarlo nel filone disneyano, ma certamente più prezioso per l’attenzione speciale dedicata alle scenografie che si richiamano alla campagna toscana. Lorenzo Mattotti, illustratore, dichiara di avere tenuto presente la pittura italiana dell’Ottocento, nonché il Beato Angelico e addirittura il futurismo. Lucio Dalla ha lavorato per tre anni alla composizione delle musiche. Contributi che aggiungono alla favola lo spessore caldo che si rifà alla migliore tradizione artistica italiana.
La storia comincia con l’infanzia di Geppetto che corre con un aquilone in mano. Il regista confessa di avere voluto rendere omaggio alla figura paterna. In effetti il crisma della riconciliazione aleggia per tutto il film, la morbidezza del segno certamente tipica del Regista qui sembra avvolgere il burattino assolvendolo sin dalle prime scene. Un’opera di pace con sé stessi e col mondo.
La nostra Chimera di Legno continua a promettere, a trasformare e trasformarsi; mette in azione a tempi alterni le diverse virtù legate alle nature che in lei convivono.
Forse la sua più complessa performance – almeno fino ad oggi – Pinocchio l’ha realizzata sotto la direzione del regista messicano Guillermo del Toro nel 2022.
Durante la Grande Guerra Geppetto, già vedovo, perde Carlo, il suo unico figlio. Nel luogo della sua sepoltura pianta una pigna che cresce e diventa un grande pino. Nel suo tronco trova casa Sebastian, il vecchio grillo. Quando con quel legno Geppetto costruirà Pinocchio il grillo resterà là a parlare come una coscienza raramente ascoltata. Geppetto vuole che il Pinocchio costruito con dalle sue mani cresca a somiglianza del suo Carlo, ma Pinocchio è un disobbediente. Comincia così la sua ribellione, comincia il suo rapporto con il padre fatto di grande amore e di profondi conflitti. Il vecchio impara dal figlio, il figlio nel contrasto col padre trova sé stesso. La metamorfosi non risparmia nessuno.
C’è da chiedersi: con quale spirito oggi un artista in Messico affronta il tema della ribellione? Il Pinocchio di Del Toro conserva nel corpo ancora i segni dell’incompiutezza e va avanti fino a doversi confrontare con il Fascismo italiano. Diventa amico di Lucignolo che è il figlio del podestà il quale, nell’imporgli un ruolo che non gli appartiene, è responsabile della sua debolezza e incapacità. L’amicizia con Pinocchio gli dà gioia ma non basta a salvarlo. In un mondo dove tutti agiscono tirati dai fili, Pinocchio è l’unico indipendente, l’unico che nessuno riesce a manovrare. Bruno Surace nel suo commento ne Gli spietati parla di un Pinocchio apocrifo. Più volte muore e altrettante risorge, attraversa così quei riti di passaggio che comunque prima della conoscenza generano il dolore. Tutto è perturbante, come in una fiaba gotica (sempre secondo Surace). Anche la Fata Turchina è una sorta di alienoide, avvolta nel suo mistero seduttivo non lo salva dalle insidie. Quasi che lì dove Pinocchio si cimenta nella concretezza della sua ribellione accorata, la Fata acquisisce tutte le caratteristiche della Chimera: infida e sfuggente, compare e scompare a suo piacimento lasciando dietro di sé una scia di profumo vagamente tossico, un misterioso narcotico.
È un cartone malinconico che si costruisce sulle assenze. Padre e figlio brancolano sotto l’influsso dello Spirito del bosco e sua sorella Morte, sovrana dell’Oltretomba. Creature mistiche che con difficoltà si contrappongono ai malvagi che indossano la divisa, anzi potrebbero essere loro complici non dichiarati. Su tutto domina silenzioso un grande Cristo di legno che Geppetto falegname, travolto dai lutti, non riesce a terminare.
Pinocchio sa che proprio in quanto bambino è destinato alla morte e conclude dicendo: “Quel che accade accade, e infine ce ne andiamo”.
Questa l’ultima promessa della Chimera di Legno. Speriamo che sia solo l’ennesima bugia.
Pinocchio è un film del 1911, diretto dal regista Giulio Antamoro. È il primo film tratto da Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Il personaggio fu interpretato dall’attore adulto Ferdinand Guillaume (noto anche col nome di Polidor), “in costume da burattino”.
Le avventure di Pinocchio è un film italiano del 1947, diretto dal regista Giannetto Guardone. Seconda versione cinematografica italiana del racconto di Carlo Collodi, dopo il Pinocchio di Giulio Antamoro (1911). Per la prima volta Pinocchio è interpretato da un attore bambino, Alessandro Tomei, “in costume da burattino”. Girato a Viareggio si avvale del contributo di grandi attori, tecnici e di semplici amatori del cinema. Nel film troviamo nella piccola parte del “Pescatore verde” un poco riconoscibile, per il trucco, Vittorio Gassman.
Le avventure di Pinocchio è uno sceneggiato televisivo tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Collodi, diretto dal regista Luigi Comencini, e trasmesso per la prima volta dalla televisione italiana sul Programma Nazionale nell’aprile 1972, suddiviso in cinque puntate, per una durata totale di 280 minuti
Pinocchio (Pinocchio) è un film d’animazione direct-to-video del 1992 diretto da Masazaku Higuchi e Chinami Namba e prodotto dalla American Film Investment Corporation come parte di una collana di film basati su fiabe e racconti per ragazzi.
Pinocchio è un film italiano del 2002 diretto e interpretato da Roberto Benigni, che firma anche la sceneggiatura (con Vincenzo Cerami) e la produzione
Bentornato Pinocchio è un film d’animazione italiano del 2007 diretto da Orlando Corradi, ispirato ai personaggi de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi.
Pinocchio è un film del 2019 co-scritto, diretto e co-prodotto da Matteo Garrone. La pellicola è basata sul romanzo per ragazzi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi. Il film ha ricevuto 15 candidature all’edizione 2020 dei David di Donatello, vincendo in cinque categorie: Miglior scenografo, Miglior truccatore, Miglior costumista, Miglior acconciatore e Migliori effetti speciali visivi. Ha inoltre ricevuto 2 candidature agli Oscar nelle categorie Migliori costumi e Miglior trucco.
Pinocchio di Guillermo del Toro (Guillermo del Toro’s Pinocchio) è un film d’animazione del 2022 diretto da Guillermo del Toro e Mark Gustafson, realizzato con la tecnica della stop-motion. Questa la trama del film: nell’Italia fascista degli anni 1930, il burattino Pinocchio prende vita e comincia a creare problemi.
Pinocchio è un film d’animazione del 1940 diretto da registi vari, prodotto dalla Walt Disney Productions e basato sul romanzo di Carlo Collodi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. È il 2° Classico Disney.
Le avventure di Pinocchio è un film di animazione russo del 1965. La regia è di Dmitrij Babicenko e Ivan Ivanov-Vano
I sogni di Pinocchio (Pinocchio and the Emperor of the Night) è un film d’animazione del 1987 diretto da Hal Sutherland. La storia è un seguito del romanzo Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi
Le straordinarie avventure di Pinocchio (The Adventures of Pinocchio) è un film del 1996 diretto da Steve Barron, basato sul romanzo di Pinocchio. Martin Landau intepreta Geppetto
Pinocchio 3000, conosciuto anche come P3K, è un film d’animazione franco-canadese diretto da Daniel Robichaud. Il film è prodotto da Christal Films, CinéGroupe e Anima Kids e narra le vicende del burattino Pinocchio in chiave futuristica, nella città di Scamboville nell’anno 3000.
Pinocchio è un film d’animazione del 2012 diretto da Enzo D’Alò, basato sul romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi. È dedicato alla memoria di Lucio Dalla, che ha dato voce al Pescatore Verde
Pinocchio è un film del 2022 diretto da Robert Zemeckis. Il film è l’adattamento cinematografico del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi. Tom Hanks interpreta Geppetto. La pellicola debutterà l’8 settembre 2022 su Disney+ (visibile anche su Sky Q e tramite la app su Now Smart Stick)