“APPENA FUORI”

N. 2 -

Anno 2025

Dario Andreozzi nasce a Roma nel 1957, ama leggere, scrivere piccoli racconti e suonare il piano, si diletta a dipingere. Malgrado la sua inclinazione intraprende studi commerciali e lavora come consulente finanziario per tutta la carriera lavorativa mai tralasciando però di leggere e inventare soggetti e storie bizzarre. Frequenta tre corsi di letteratura creativa e da grande vuole scrivere l’inutile quanto irrilevante storia della sua Vita.

In ogni vita c’è un numero programmato di eventi a cui siamo destinati.
La contabilità dei dare & avere varia e spazia in ogni direzione: gli eventi cambiano se sei ricco o povero, se sei figlio di illuminati o svalvolati, se magari abiti a New York o a Al-Fashir, se sei bello o brutto, se la fortuna ti ha aspettato o si è dileguata mentre eri in bagno.

Un abile statistico potrebbe calcolare quanti baci, schiaffi ci aspettano, la media dei voti ricevuti prima nelle scuole poi negli uffici, quante ragazze potrebbero innamorarsi dei nostri brufoli. Si potrebbe approssimare quanti amici, parenti, conoscenti incontreremo, quanti per tanto tempo e quanti per pochi minuti, quante mogli potrebbero lasciarci o quante lasceremmo, giungere addirittura a ipotizzare quanti anni siamo destinati a campare se mangiamo sano, non fumiamo, dormiamo tante ore, beviamo 2 litri di acqua al giorno e facciamo del moto moderato.

Se fosse così, un ragioniere e uno statistico basterebbero per avere un vademecum abbastanza fedele della vita di ognuno, saremmo in grado di stare meglio sulle gambe quando ci arrivano contro dei dispiaceri o anche inaspettate buone e fortunose possibilità ed invece…

Per quanto ci sforzassimo di ritenere plausibile e logico un evento perché previsto dalla statistica e ragioneria quando poi accade ci lasciamo immobilizzare dalla paura e le uniche contromisure diventano la religione (o mio Dio perdona i miei peccati) o la fuga scomposta (l’istinto di sopravvivenza).

La paura è un sentimento importante come la rabbia, come la gioia, la tristezza, il disgusto. Nella storia della nostra evoluzione ha avuto un ruolo specifico, ci ha preservato dai dinosauri, dalle catastrofi naturali quali eruzioni di vulcani, terremoti, maremoti, inondazioni, incendi, tempeste solo per citarne alcune e per ognuna di queste minacce il genere umano ha ideato e studiato contromisure; la creazione di esperti vulcanologi, sismologi, idrologi, pompieri, meteorologi. Ognuno di loro ha formulato un rimedio che fondamentalmente ha capovolto i rimedi di cui sopra, prima la fuga e poi la preghiera, non cambiando di tanto il risultato.

Timidamente ma piuttosto velocemente a queste categorie ormai quasi storiche dovremo aggiungerne altre come i climatologi e gli esperti di blackout. Per quest’ultima catastrofe in particolare sarà difficile sostantivare: interruttologi o blackoutologi, insomma troveremo il lemma giusto ma al momento la cosa che ci riguarda è il come, il cosa fare quando c’è un’interruzione! La Storia non si è mai preoccupata di un simile evento quantomeno la matematica probabilistica e il diritto commerciale, ma adesso negli eventi di ognuno di noi dovremmo farci i conti.

Ero in Spagna e precisamente nella Cattedrale dell’Incarnazione di Malaga, la Manquita (la monchetta) come la chiamano i malaguenos, una basilica minore costruita su di una antica moschea. Ricostruita più volte nei secoli, non ha un carattere definito e comunque sono in vacanza e rilassatamente mi godo le nervature del soffitto, i pavimenti bicolori, le alte colonne e le cappelle laterali esibenti quadri e statue di cardinali generosi in posa di preghiera.

Ore 12.38 si spengono le luci mentre ammiro il coro datato 1560 circa. Vengo sopraffatto da un penetrante odore acre di bruciato, qualche piccolo corto ha fatto scattare i relè del quadro elettrico, così decido di uscire ed arrivare in albergo distante qualche centinaio di metri. Nel percorso mi accorgo che anche i negozi sono senza luce, le commesse sono fuori e continuano a guardare i telefonini e ridacchiare approfittando per fumare giustificate dall’interruzione elettrica. Strano, il semaforo davanti al mio alloggio è spento e il taxi sembra non fermarsi al passaggio di noi pedoni. Arrivo incolume e vengo colpito da un via vai energico da parte delle receptionist che, come vigili, dirigono gli ospiti entranti ed uscenti come me. L’ascensore non funziona ma la sbarra del parcheggio e spalancata e riesco a riprendere l’auto e dunque la marcia. Collegato il navigatore del mio telefono alla tecnologica auto coreana, mi accorgo che non ho nessuna tacca, non c’è internet, nada de nada per dirla in andaluso e non so esattamente dove dirigermi, provo con la segnaletica stradale. La mia destinazione è Gibilterra, le colonne d’Ercole sempre fantasticate da ragazzino, lì dove finiva il mondo ed iniziava l’avventura, lì dove finiva l’oscurantismo ed iniziava la conoscenza (a detta dei popoli antichi antichi). Passano i minuti è l’ammasso di ferraglia diventa sempre più fitta, inizia qualche ingorgo, i passanti che devono attraversare fanno gimkane come nel labirinto di Cnosso. Mi dirigo nelle strade che sembrano meno affollate, forse verso il mare, macché, tutti fanno la stessa pensata e la fila di auto incolonnate sembra aumentare a vista d’occhio. Splende il sole ma qualche nube nera si addensa dentro l’anima non più rilassata.

Dopo circa due ore riesco a prendere l’autostrada per la Fine del Mondo ma forse è già qua, poi mi faccio una risata e mi convinco che sto esagerando troppo e la sesta marcia mi tranquillizza. Accendo la radio, la musica è sparita sostituita dai notiziari che si chiedono cosa stia accadendo. Le voci sembrano rilassate, magari traspare del nervosismo ma la scarsissima conoscenza dello spagnolo non mi fa cogliere questa sfumatura, poi la voce chiara della speaker pronuncia distintamente

“quizàs un ciberataque en toda Espana, Portugal y el sur de Francia”

La parola che proferisco non è “cribbio” seppure inizi con la ci e quell’aria da turista per caso si incupisce; “e mò”!
La distrazione mi fa sbagliare strada e finisco a Marbella, un posto da super vip tutti bellissimi, con ville bellissime, campi da golf floridissimi e vari concessionari di auto prestigiosissime che immagino regalino visto il numero impressionante in circolazione. Si dice che anche i ricchi piangano ma qui non lo danno a vedere e anzi tanti caddy accompagnano serenamente gli affaticati Signori a casa con le deliziose automobiline elettriche coperte per non infastidirli con il sole battente.

Arrivo a Gibilterra alle 17:00. Tira un vento fortissimo e la colonna d’Ercole è il promontorio Mons Calpe alto circa 426 metri l.m.
Qui tutto funziona!
I negozi, i semafori sono illuminati, anche il telefonino segna tre tacche. Le persone sono calme ed indaffarate nei loro fare, i supermercati aperti sono colmi di cibarie, il panico dei radio giornali qui non esiste. Arrivano tutte insieme le ansie dei figli, fratelli e amici che hanno sentito la notizia in Patria e vogliono sapere di più. Mi guardo attorno e la fiducia nel progresso, nella conoscenza si rimpossessa di me. Queste colonne ci proteggono davvero dall’inciviltà e dall’ignoranza come tremila e più anni fa. È strano come i sentimenti cambino istantaneamente, come siano iridescenti, mutevoli al primo tocco di speranza. Il mio procedere ora è sicuro, tutto è risolto, ancora una volta sono uscito dal turbinio della catastrofe. La mia navetta solca il mare d’asfalto che si delinea davanti, faccio qualche sosta per ammirare il paesaggio, in alto da quel promontorio vicino Tarifa si vede chiaramente l’Africa mentre ascolto alla radio qualche musica scandita dai tamburi bendir e darbuka. Oltrepasso la costa e mi addentro all’interno per raggiungere Cadice. Inizia una splendida campagna per poi passare a qualcosa di simile alla Camargue, in Francia: varie lagune divise dal mare da banchi di sabbia, sono circondate da paludi. Il sole basso allunga le ombre e il vento piega la vegetazione più alta. Un momento magico, una sensazione di calma e beatitudine mi pervade. La bellezza rende liberi, anche senza linea telefonica e internet.

In meno di qualche chilometro tutto ritorna com’era!
Via la musica, via le mappe, via qualsiasi traccia informatica, si ripiomba nel medio evo. Chiusi i distributori della benzina, quelli aperti hanno file di auto lunghissime, chiusi bar e ristoranti, due paesini sembrano fantasmi, non gira nessuno. Cerco una stazione radio, capisco distintamente che parla di kit di sopravvivenza: sei litri d’acqua, alimenti snack, biscotti, copie di documenti, medicine essenziali, contanti, torce, radio a batterie, coltellini multiuso, bende, garze. L’incubo ricomincia più forte di prima. Non si conosce ancora la causa di questa mega interruzione, non si sa quando si potrà rivedere la luce, chi ipotizza 6-10 ore, chi due giorni, chi quattro. Nelle grandi città c’è chi è rimasto negli ascensori, chi è scappato al buio dalla metropolitana, nelle stazioni i treni sono fermi così come negli aeroporti gli aerei. Il Governo ha indetto la riunione del consiglio di sicurezza presieduto addirittura dal Re in persona e viene emanato lo stato di allerta, non uscite di casa, non viaggiate, non allarmatevi. Sono a pochi chilometri da Cadice quando trovo un benzinaio aperto che stranamente ha la corrente: faccio il pieno, compro dell’acqua. Il telefonino ha vita e cerco di prenotare un albergo per la notte, qualche click e riesco ma il gestore dice che abita in quella città ed è tutto spento, sua moglie è al “buio” da tutto il giorno ed è tutto completamente chiuso.
Come Ulisse, sfido il mare aperto abbandonando l’isola di Circe e arrivo a Cadice. La graziosa cittadina appare spettrale, sono passate le 9:00 pm e mi sento stanco, ho guidato per 9 ore, fermo l’auto in un parking deserto dove però le luci sono accese, il telefonino mi indica timidamente la strada per arrivare all’ albergo designato, ma altro colpo di scena, non c’è la camera in quanto le persone che dovevano andare via, non si sono mosse, non c’è stata maniera di avvisare che l’albergo era pieno perché mancava la luce e non c’è nessun modo di risolvere. Così ancora in un altro albergo e ancora e ancora. Finalmente un uomo di buona volontà ha sfidato la mala sorte e ha concesso riparo affittando una camera. La mattina dopo sembrava tutto un brutto sogno, i bar affollati sfornavano le tipiche colazioni andaluse, i ristoranti tiravano fuori i tavolini e la vita sembrava rifiorire dopo la peste che velocemente si era dissolta. La pandemia del buio elettrico è passata sotto il sole caldo lasciando un ricordo a metà tra lo smarrimento e l’angoscia, una paura sociale nuova, una corsa all’emergenza che non esisteva fino a pochi anni fa.
Mi sono sentito perso ma da cosa, ma da dove?
Mi sono sentito minacciato, ma da chi, ma perché?
Questo quarto di secolo è funestato da paure che ci rendono precari, che detronizzano certezze secolari; sembra vogliano abituarci a questo atteggiamento magari per ritenerci fortunati di essere in vita anche se non si trova lavoro o si è sfruttati, anche se ci impoveriscono e ci trattano come parco buoi, anche se non contiamo più perché divisi.

Al momento siamo appena fuori dalla catastrofe ed è bene accontentarci.

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